di Giusy Emiliano, curatrice d’arte
La poetica dell’Antropocene invita a ripensare il nostro ruolo nell’ecosistema globale, intrecciando arte e scienza per esplorare l’intensità e la profondità di una nuova consapevolezza: quella di essere parte attiva di un’era geologica in cui l’impronta umana non solo segna il pianeta, ma lo trasforma profondamente.
Questo approccio non si limita a descrivere l’ambiente o a denunciare la crisi climatica, ma aspira a tracciare nuove traiettorie immaginative e concrete per convivere con la Terra. Vittorio Pavoncello, direttore della Biennale Antropocene, induce il pubblico ad accogliere il pensiero che l’arte non può sostituire il rigore delle discipline scientifiche, ma offre uno spazio di riflessione che ci permette di osservare il mondo attraverso una lente diversa, a volte obliqua e ombrosa, in grado di rivelare dettagli spesso invisibili alla razionalità.
È proprio in questa zona d’ombra che si situano le opere della Biennale, capaci di far emergere una consapevolezza estetica ed etica che va oltre la narrazione convenzionale.
L’Arte nell’Antropocene: un Campo Visivo in Ombra L’arte, così come la scienza, può essere considerata un mezzo di indagine e conoscenza: un “campo visivo in ombra” che, pur non mostrando esplicitamente tutte le risposte, suggerisce un metodo per vivere. Essa opera come uno strumento di rivelazione, capace di far emergere tracce, relazioni e domande nascoste. Nell’Antropocene, queste tracce si manifestano anche nella sorprendente scoperta delle microplastiche nei tessuti umani: il confine tra noi e l’ambiente si dissolve, suggerendo che non esistono più separazioni nette, ma un continuum che ci lega al mondo. In questo contesto, l’arte diventa un atto di cura e responsabilità.
Non è più solo rappresentazione ma strumento attivo per comprendere e intervenire, per riannodare il legame spezzato con una natura che non possiamo più trattare come una madre benevola e immutabile. Siamo noi, oggi, i custodi di una Terra ferita e invecchiata, e dobbiamo imparare a essere “genitori” di un ecosistema fragile e complesso. Lo Spazio della Biennale: una Galleria Sospesa Il luogo che l’INGV ha messo a disposizione per la Biennale è emblematico: un corridoio sospeso, un parallelepipedo orizzontale i cui lati affacciati sull’esterno sono interamente costituiti da ampie finestre. Le opere, sospese dall’alto con cavi di acciaio, sembrano galleggiare in modo alternato, rafforzando la percezione di leggerezza e sospensione. Questo spazio di passaggio, che collega due sezioni dell’Istituto, diventa la “Galleria Antropocene” permanente, accessibile a tutti coloro che attraversano la struttura. I corridoi, già metafore di controllo, dominio e interdizione, in questo contesto capovolgono le dinamiche tradizionali tra opera e spettatore.
Chi transita diventa un attore privilegiato, spinto quasi involontariamente alla riflessione: dentro, fuori, sospeso, corpo e mondo (per citare Bruce Nauman).
Qui il tempo sembra sospeso, proprio come lo spazio stesso: il corridoio dialoga con l’esterno, la luce e il paesaggio che filtrano dalle finestre ampliano la percezione spaziale e architettonica. Le opere, attivate dalla luce e dallo spazio circostante, creano una continuità sensoriale tra il dentro e il fuori, trasformando l’esperienza in un momento di riflessione profonda. Riproducibilità e Presenza Le opere d’arte della Biennale, come le 16 donate alla “Galleria Antropocene” presso l’INGV, incarnano questa missione. In esse, si intrecciano la riproducibilità del messaggio e un oggetto distante, ma come una rete vivente e interconnessa, di cui siamo parte integrante. la singolarità dell’esperienza. Se la riproducibilità è essenziale per diffondere la coscienza, è altrettanto vero che l’arte resta un’esperienza unica e irripetibile: un invito alla contemplazione e alla scoperta personale.
Ogni opera diventa così una finestra su come vivere, su come relazionarci al mondo in modo più sensibile e responsabile. Oltre il Pensabile Come sottolineano filosofi come Timothy Morton e artisti contemporanei ispirati dall’ecologia, l’arte ha la capacità unica di illuminare ciò che la scienza, a volte, lascia nell’ombra. Nell’Antropocene, immaginare diventa un atto sovversivo e trasformativo, una necessità per ridefinire il nostro rapporto con il pianeta. Non si tratta solo di rappresentare l’impatto umano, ma di aprire nuovi orizzonti di pensiero e coesistenza. Un’arte che, come le “ipernature” teorizzate da Morton, ci invita a percepire il mondo non come In questa seconda edizione della Biennale, arte e scienza si intrecciano non solo per osservare, ma per generare nuove prospettive. Il futuro non è un percorso già tracciato, ma un intreccio complesso di possibilità, un “ipertesto” che possiamo ancora scrivere.
Questo campo visivo, spesso nascosto, offre spunti per immaginare un equilibrio diverso, basato sulla comprensione profonda della nostra relazione con l’ambiente e sulle tracce che lasciamo nel mondo…